Carlo Rizzarda (Feltre 1883-Milano 1931) nacque a Feltre, cittadina rinascimentale alle pendici delle Alpi Bellunesi, ricche di miniere, territorio dove la tradizione della lavorazione dei metalli ha radici antiche e nel Cinquecento raggiunse vette eccelse nella forgiatura delle spade che armarono gli eserciti delle potenze europee.
Frequentò la locale Regia Scuola di Tirocinio Professionale a orario ridotto, diretta da Giacomo Andolfatto, e, grazie ad una borsa di studio, nel 1904 si trasferì a Milano dove frequentò i corsi sul ferro tenuti dalla Società Umanitaria, creata alla fine dell’Ottocento a scopo filantropico in aiuto alle classi più deboli per qualificare il lavoro artigianale e produrre modelli di buon gusto da destinare all’industria.
A Milano, sotto la guida di Alessandro Mazzucotelli abilissimo artigiano e grande talento artistico capace di piegare il ferro alle sinuosità richieste dall’art nouveau, Rizzarda sperimentò le infinite potenzialità artistiche del ferro battuto. Nel 1910, poco dopo l’esposizione di arte decorativa di Bruxelles, si separò dal maestro per mettersi in proprio.
I suoi manufatti, a questa data, risentivano dell’impronta di Mazzucotelli là dove sullo spartito geometrico di gusto ormai quasi Decò intesseva eleganze di sapore ancora Liberty. Ma gli anni Dieci segnarono momenti di grandi incertezze stilistiche: l’onda modernista sembrava aver perso il vigore che aveva all’inizio del secolo, il gusto in Italia andò nella direzione di un recupero degli stili del passato. Pertanto alla prima mostra d’arte decorativa del 1923 a Monza, Rizzarda presentò con grande successo sia oggetti in stile neo-rinascimentale e neo-barocco, sia oggetti di gusto più rustico e primitivo. Ugo Ojetti ne parlò come di una “rivelazione” e la sua fama, a partire da quelle date, non conobbe sosta. In collaborazione con i migliori architetti dell’epoca, Arata, Griffini, Faravelli e Sommaruga, Rizzarda progettò lampadari, ringhiere, cancelli, porte, inferriate per le dimore dell’alta borghesia lombarda. Nel 1924 partecipò alla Biennale di Venezia e, l’anno successivo, all’esposizione internazionale di Parigi dove ottenne il terzo premio.
Nel 1927 alla mostra di arti decorative di Monza il clima non era più lo stesso: alcune sale erano occupate dalla presenza del Gruppo 7, giovani architetti lombardi che con sobrietà e rigore avevano bandito dalle loro costruzioni ogni formula decorativa. I ghirigori neo-rinascimentali in ferro battuto di Rizzarda e dello stesso Mazzucotelli furono mal giudicati dalla critica più avveduta, che impose un cambiamento di stile.
Il disegno dei cancelli e degli arredi disegnati allo scadere degli anni Venti divenne più sobrio, in sintonia con le ceramiche disegnate da Giò Ponti, con gli edifici progettati da Muzio e gli arredi di Emilio Lancia. Rizzarda rinunciò alle patine policrome giocando sui toni freddi, combinando l’ottone ed il ferro satinato e utilizzando preferibilmente vetri trasparenti o bianchi prodotti da Meissen, anziché quelli iridescenti viola, rosa e gialli di Cappellin. Tali compromessi non durarono a lungo. Il gusto era cambiato e le esigenze di uno stile razionale e funzionale alle abitudini dell’uomo moderno, segnarono la fine dell’arte del ferro battuto. Rizzarda morì nel 1931. Qualche anno prima aveva acquistato a Feltre, nel cuore del centro storico, un elegante palazzo cinquecentesco nel quale aveva previsto di collocare le proprie collezioni.
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